martedì 31 luglio 2012

Non Chiamateli Giochi: i Mancala

Con Màncala si indica tutta quella famiglia di giochi di fossi e ciottoli, semina e raccolta, nei quali vengono distribuiti dei semi in un certo numero di buche. Il termine deriva dall’arabo naqala (muovere/spostare qualcosa dal suo posto) e rientrano a pieno titolo nel vasto campo dell’archeologia ludica, universalmente ammessi nel novero dei giochi più antichi dell’umanità. Nati in Africa, l’origine risale probabilmente all’Antico Egitto; pur non potendo stabilire con certezza la datazione, sono state ritrovate nel tempio di Kurna, sulla riva occidentale del Nilo, una serie di buche scavate nelle pietre di un tempio risalente al 1400 a.C. I più antichi ed inequivocabili mancala, risalenti al VI-VII secolo d.C., sono invece stati ritrovati in Etiopia durante degli importanti scavi archeologici.
Dall’Africa il gioco si è progressivamente diffuso in tutto il mondo: verso Oriente, attraverso le rotte dei mercanti lungo le coste dell’Oceano Indiano e i flussi migratori conseguenti alla diffusione della cultura musulmana di origine nordafricana, ed in Occidente, tramite il commercio e la tratta degli schiavi nelle Americhe.
Dei Mancala esistono innumerevoli versioni, spesso differenti solo per minuzie o per particolari regole adottate localmente, ed è conosciuto con tantissimi nomi diversi, a seconda dell’area geografica di riferimento. Caratteristica comune dei mancala è il tavoliere di gioco, con una serie di buche (variabili numericamente da sei a dieci) disposte su un certo numero di file di egual lunghezza (normalmente da due a quattro). Dentro le buche (dette anche case) vengono collocati ad inizio partita la medesima quantità di semi, anch’essi variabili numericamente, solitamente semi di caesalpinia, ciottoli, conchiglie o fagioli. Alle estremità del tavoliere possono essere presenti due buche più grandi, dette granai, la cui funzione è differente in base alla tipologia di mancala: mero deposito dei semi catturati o vera e propria casa aggiuntiva con finalità speciali.
Scopo del gioco è catturare più semi dell’avversario. Ciascun giocatore provvederà ad effettuare una semina, prelevando tutti i semi presenti in una propria buca per poi distribuirli nelle case adiacenti, sia proprie che avversarie, descrivendo un caratteristico movimento circolare orario o antiorario. A seconda della variante di gioco, può compiere delle catture quando: l’ultimo seme termina in una casa avversaria comportando la cattura dei pezzi presenti in quella casa; una semina si concluda in una casa vuota con la conseguente presa dei semi della casa avversaria antistante; a seguito della semina si determini un dato numero di semi nelle case avversarie. In alcuni mancala i pezzi catturati vengono eliminati dal gioco, in altri posti nelle buche del giocatore che ha effettuato la cattura.
Strumento simbolico con forti connotati culturali, religiosi e magici, studiato con interessi antropologici ma anche logici e matematici, sono stati riconosciuti come il miglior esempio di gioco raffinato ancora presente in “culture primitive”, rivelando profondità di strategia e sottigliezze di calcolo non inferiori a quelli degli scacchi o di altri giochi occidentali ed orientali, tanto più notevoli in quanto i giocatori di mancala sono stati o sono ancora in molte situazioni privi di cultura alfabetica e numerica. Così come accade con i nostri sport, giochi e videogames, i mancala offrono momenti di aggregazione e di reciproco scambio d’esperienze, nonché interessanti spunti pedagogici e didattici, tanto da divenire per i bambini un ottimo espediente per l’apprendimento dell’aritmetica.
Il Wari è la variante più diffusa al mondo. Semplice ed immediato è praticato in gran parte dell’Africa e dei Caraibi. Conosciuto con diversi nomi, quali Owari, Oware, Awele, Warri, si gioca su un tavoliere composto da due file di sei case più i due granai, utilizzando 48 semi suddivisi in numero di 4 per casa. Il gioco prevede una mossa per turno con una semina antioraria. Obiettivo finale è catturare più semi dell’avversario. Ha due sottovarianti minori: l’Oware Grand Slam e il Cross-Wari.
Il Bao è probabilmente il mancala più complesso, caratterizzato da regole articolate e da una maggiore profondità strategica. Tipico della cultura swahili (bao significa ‘tavoliere’), è diffuso in Africa orientale (Tanzania, Kenya, Zanzibar, Comore). Si gioca su un tavoliere formato da quattro file di otto buche. Ogni giocatore dispone di 32 semi ed utilizza esclusivamente le due file di buche più vicine a sé, effettuando turni di semina singoli o a staffetta, con o senza cattura. Vince il giocatore che per primo svuota la fila interna dell’avversario o che porta l’avversario a non avere più alcuna mossa legale a disposizione.
L’Omweso è un mancala giocato in Uganda e Ruanda, con numerose sottovarianti diffuse nelle regioni limitrofe. Tipo di tavoliere e numero dei semi sono identici a quello del bao, le regole tuttavia sono più immediate. L’obiettivo è spingere l’avversario a non avere più mosse a disposizione.
Il Congkak è diffuso in Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia, Singapore, Sri Lanka e alle Maldive. Raffigurato sulle monete da 10 cents del ringgit malese, è l’unico gioco al mondo riprodotto su un conio ufficiale. Variante dalla dinamica elaborata, utilizza un tavoliere costituito da due file di cinque, sei o sette buche, più i due granai. Ogni giocatore impiega i propri semi (sette per buca) attraverso due distinte fasi di gioco. Il gioco ha fine quando si va al di sotto di una soglia minima di semi in proprio possesso.
Il Bohnenspiel (letteralmente ‘gioco dei fagioli’) è l’unico mancala tipicamente europeo, giocato sin dall’Ottocento nei paesi baltici e tedeschi, in particolare dall’aristocrazia prussiana e russa, diffuso ancora oggi nell’Europa orientale. L’equipaggiamento è lo stesso del wari come pure la meccanica di gioco, eccezion fatta per la disposizione iniziale dei semi (sei per buca) e alcune regole di cattura.
Esistono anche mancala moderni, come il Kalah. Inventato nel 1940 da William Julius Champion Jr., è conosciuto anche come Bantumi ed ha avuto un considerevole successo commerciale negli Stati Uniti ed in Germania. Il tavoliere è identico a quello del wari ma i semi a disposizione sono 36 (tre per casa), inoltre sono diverse sia le regole di cattura che la funzione del granaio, essendo anch’esso attraversato dalla semina. Nel 2004 è stata inventata un’ulteriore variante, il Cross-Kalah, con l’obiettivo di ridurre il vantaggio del giocatore primo di mano, nell’intento di rendere il gioco più equilibrato.
Varianti minori ma altrettanto diffuse sono l’Ayoayo (Nigeria), l’Endodoi (Kenya/Tanzania), il Layli Goobalay (Somaliland), il Tschuba (Sudafrica), l’Hawalis (Oman), l’Hoyito (Repubblica Dominicana) e tanti altri, a testimonianza di una storia e cultura millenaria.

- da AetnaNet del 31 Luglio 2012 
- da Sotto Le 2 Torri - Il Foglio di Bologna n° 34 - Luglio 2012 - Pagine 9-10 

venerdì 6 luglio 2012

Non Chiamateli Giochi: il Bridge

È possibile praticare uno sport, pur rimanendo comodamente seduti? La risposta è sì! Ciò che occorre è un mazzo di carte e imparare a giocare a Bridge. Parlare di un gioco di carte come di uno sport potrebbe di primo acchito sembrare un’esagerazione, ma così non è per il bridge che, insieme ad altre discipline, ha vista riconosciuta da parte del Comitato Olimpico ed altri organi internazionali la definizione di sport ed è stato inserito nei “World Mind Sports Games”, le Olimpiadi degli Sport della Mente.
In Italia, al pari della dama e degli scacchi, il bridge è una disciplina sportiva associata al CONI ed ha da tempo sottoscritto col Ministero della Pubblica Istruzione un protocollo d’intesa che ufficializza la promozione del progetto “Bridge a Scuola”, consentendone l’attività scolastica a partire già dalla scuola primaria, attraverso la pratica del Minibridge.
Gioco di coppia per antonomasia, il bridge non è un semplice gioco di carte (come dire che il calcio, il basket o il tennis sono giochi con la palla) ma è un gioco “con le carte” che sviluppa valori come la socializzazione, l’aggregazione, l’amicizia, la solidarietà, la collaborazione e capacità di analisi e di sintesi, di deduzione logica e razionalità, abilità e competenze indispensabili per migliorare le capacità di pensiero e le life skills.
Il gioco del bridge vanta radici antichissime. Del suo progenitore diretto, il “Whist”, si hanno tracce in Inghilterra sin dal XVI secolo, dov’era praticato tra il popolo. Il gioco cominciò ad appassionare anche l’aristocrazia ed ebbe un costante, progressivo sviluppo, tanto da esser codificato in regole precise nel 1742 da sir Edmond Hoyle, che ebbe il merito d’inquadrare un buon gioco di carte concependolo come veicolo sociale con profondi significati morali, ragione nella quale risiede ancora oggi il principale successo del bridge. Nel 1873 nasce il “Whistbridge”, praticato, come il bridge moderno, da quattro giocatori in due coppie contrapposte. Contemporaneamente si diffonde in Medio Oriente il “Birich”, un analogo gioco di origini russe. Da qui la disputa, ancora oggi irrisolta, sull’esatta etimologia del termine “bridge”: per alcuni deriverebbe dall’instaurarsi di un “ponte” comunicativo tra la coppia di compagni, per altri semplicemente dal termine birich.
Il gioco viene gradualmente modificato negli anni successivi, diffondendosi largamente in Francia e negli Stati Uniti, sino a quando nel 1925, l’americano Harold Stirling Vanderbilt non lo codifica nel moderno “Contract Bridge”, le cui regole sono tuttora in vigore. Di lì a poco verrà fondata nel 1932 a Scheweningen (Olanda) l’International Bridge League, col compito di organizzare il primo Campionato Mondiale a squadre.
Il bridge è anzitutto un gioco di prese che vede contrapposte due coppie, dette “linee”. Si gioca con un mazzo di 52 carte, di tipo francese, esclusi i jolly. Il mazzo è composto da quattro semi (Picche, Cuori, Quadri, Fiori) di 13 carte ciascuno. Il valore è decrescente, dall’Asso al 2. Il mazziere, a rotazione, distribuisce tutte le 52 carte, in senso orario, così che al termine ogni giocatore avrà una “mano” di 13 carte. La presa è costituita dalle quattro carte giocate a turno dai giocatori ed è vinta da chi ha giocato la carta più alta. Ciascun giocatore ha l’obbligo di rispondere nel colore giocato dal primo di mano, se non possiede alcuna carta in quel colore, potrà giocare una carta di un altro colore, effettuando uno “scarto”. Il gioco si articola su due distinte fasi, la “licitazione” (o dichiarazione) e il “gioco della carta”. Scopo del gioco determinare, attraverso la licitazione, il numero di prese (contratto) che si intendono realizzare in seguito ed ogni dichiarazione dovrà superare la precedente o per rango o per numero di prese. Durante la dichiarazione la coppia può scegliere un colore dominante (la briscola o atout), e decidere di giocare un contratto ad atout o a senza atout. Il dialogo avrà termine quando su una licita di un giocatore gli altri tre passeranno, non effettuando alcuna licita ulteriore. La dichiarazione finale costituirà il contratto che dovrà essere mantenuto dalla coppia nella successiva fase di gioco della carta.
È evidente come il gioco del bridge unisca valenze proprie sia dello sport sia dell’attività intellettiva: per apprenderlo non occorre studio, ma comprensione. Il bridge è una disciplina per tutte le età, affascinante, logica e appassionante, adatta sia ai giovani sia a chi è avanti con gli anni. Tutte le componenti del gioco, sia teoriche che pratiche, hanno una naturale matrice logica, matematica e statistica. Ciò obbliga il giocatore alla concentrazione e al ragionamento, impegnandolo ad affrontare situazioni di problem solving pressoché costanti; il bridge è un ottimo strumento per allenare la memoria e l’intelligenza, proponendo nello spazio di una smazzata una serie di condizioni la cui risoluzione necessita dell’utilizzo della memoria a breve e a lungo termine e dell’intelligenza fluida e cristallizzata. L’attenzione e l’interesse sono continuamente stimolati per via della diversa configurazione delle carte, che cambia dopo pochi minuti, modificando così il tipo di impegno richiesto.

- da AetnaNet del 6 Luglio 2012 
- da Sotto Le 2 Torri - Il Foglio di Bologna n° 33 - Giugno 2012 - Pagina 17